Molti studiosi che scrissero intorno alle origini di Ugento non si trovarono mai d’accordo circa il periodo della sua fondazione , ed hanno sostenuto varie e contrastanti ipotesi; comunque, e su questo vi è unanimità di consensi, la sua origine si perde nella notte dei tempi. D’incerta derivazione è OZAN, l’antico nome di questo paese della provincia di Lecce che nella pianura salentina si eleva sull’unica collinetta verso la costa ionica ad appena 108 metri sul livello del mare. Centro cardine del periodo messapico, la cittadina di Ugento fu caposaldo nel controllo del territorio del sud dell’attuale Salento, avendo a sua disposizione un forte esercito e una propria zecca,le cui monete recavano l’effige di Ercole e la scritta OZAN.
Come tutti gli abitati di quest’epoca si cinge di una possente Cerchia Muraria, di cui sono ancora visibili alcuni tratti in località Acquarelli e in contrada Porchiano, costruita utilizzando grandi blocchi di pietra tufacea. Le mura megalitiche dell’antica Ugento con il loro perimetro di 5 km racchiudevano una superficie di 145 ettari su cui si estendeva la citta messapica.
Nel Museo Comunale di Archeologia e Paleontologia “S. Zecca”, inaugurato nel 1968 nel Convento cinquecentesco dell’orine dei Frati Francescani, si raccolgono gran parte dei reperti provenienti dai numerosi scavi occasionali effettuati nel territorio del comune; proprio in questa splendida struttura è stata ospitata la mostra “Klaohi Zis – il culto di Zeus a Ugento”, dedicata all’eccezionale statuetta bronzea dello Zeus Stilita, la quale è senza dubbio uno dei principali capolavori artistici dell’arte magno-greca. Datata al 530 a.C. e realizzata con il metodo della fusione a cera persa , venne ritrovata fortunatamente nel dicembre del 1961 durante lo scavo per le fondamenta di una casa , e gli operai la riportarono alla luce nei pressi di quella che era l’acropoli dell’antico centro messapico. Nei suoi 74 centimetri di altezza raccoglie l’ atteggiamento fiero e sereno del dio che, stringendo il fulmine nella mano destra e l’aquila nella sinistra, si presenta dall’alto di una colonna ai suoi fedeli, coronato di alloro e di rosette. La leggera torsione del busto, l’estrema attenzione ad ogni particolare fanno apparire eccezionale l’opera da qualsiasi punto ci si fermi ad ammirarla. Proprio questo bronzo è, insieme alla monumentale tomba dell’Atleta con il ricchissimo corredo che custodiva, straordinario esempio dei contatti e degli scambi che questo popolo indigeno ha avuto con la fiorente civiltà della Magna Grecia tramite la vicina Taranto, unica colonia magno greca in puglia.
L’Ugento Messapica mantiene la propria autonomia sino al 266 a.C. quando, Fabio Pittore, con il suo esercito riesce ad aprirsi un varco nelle mura della città e riesce a conquistarla stipulando un trattato di alleanza che la legava al dominio romano. Dopo essere passata dalla parte dei Cartaginesi durante le Guerre Puniche, Ugento riacquista il favore di Roma nell’89 a.C. divenendo Municipio romano con il nome di UXENTUM. E’ in questo periodo che il piccolo porto messapico s’ingrandisce e pullula di vita, di attività e di scambi commerciali. Con la caduta dell’Impero Romano la città cade sotto la podestà dell’Impero d’Oriente, divenendo terra di conquista per tanti e diversi popoli: Greci, Goti, Saraceni e Longobardi la saccheggiarono, la incendiarono e devastarono segnando la sua definitiva distruzione nell’842. Intanto l’arrivo dei Monaci Basiliani rivitalizza e dà un impulso di vivacità sociale e culturale alla cittadina.
Testimonianza principe del periodo bizantino è senza dubbio la bellissima Cripta del Crocefisso; scavata nella roccia, prende il nome dalla pittura sormontante l’altare, presenta la volta completamente decorata e le pareti affrescate da soggetti sacri resi con estrema finezza e delicatezza.
L’undicesimo secolo segna un periodo di rinascita: passando sotto il dominio del Normanni, Ugento riacquista una nuova egemonia sociale. Economica e culturale. E’ proprio in questo momento che la città viene ripopolata e inizia l’importante costruzione del Castello, in un punto strategico del centro, da cui ancora oggi si può ammirare il territorio che la contorna. Nel 1399 la città viene ammessa al principato di Taranto e sotto il controllo del Principe Raimondo del Balzo raggiunge una popolazione di ottomila abitanti. Ma questo periodo di tranquillità sarà presto interrotto da nuove ondate di terrore e di morte portate dall’invasione delle truppe di Federico Barbarossa e dai Saraceni, la cui più devastante irruzione è quella del 1537 che segna la distruzione totale della città e della piccola cerchia di mura bizantina. E’ durante quest’attacco che la Cattedrale gotica viene abbattuta ed è proprio sui resti di quest’ultima che sorgerà nel 1735 l’attuale. Sarà l’intervento di numerosi feudatari che si avvicenderanno negli anni successivi a ripopolare e a far rivivere Ugento, dove attraversando il borgo e il territorio si ha ancora sentore della sua magica gloria.
Passeggiata nel paese
Nel centro storico di Ugento si trovano una serie di edifici fra cui il Castello, la Torre Civica, il Convento dei Francescani di S. Maria della Pietà, Palazzo Vescovile, che in una visione d’insieme costituiscono uno fra i più interessanti percorsi storici architettonici del Salento.
A Ugento sono presenti anche due Palazzi antichi, tra cui Palazzo Gigli, che risale alla fine del 1500 e Palazzo Colosso, che si conserva ancora bene. Il palazzo sorse intorno al 1600, per quel che riguarda il lato che si affaccia su Via Roma, mentre la parte che prospetta su Via Messapica è di data relativamente recente, essendo stata edificata sul finire dell’ ottocento. All’ interno di Palazzo Colosso sono custoditi molti reperti (bronzi, monete, ceramiche, etc.), risalenti sia al periodo dei Messapi che ai periodi successivi.
IL CASTELLO
Alcuni storici fanno risalire l’origine del castello al periodo normanno. Nelle sale del castello si avvicendarono le storie delle nobili famiglie di Ugento: gli Artus, gli Orsini del Balzo, i Colonna ed infine i D’Amore. Nel 1537, in seguito all’occupazione saracena della città, il castello subì la completa distruzione di due torri e di una parte del lato occidentale . Furono i conti Pandone (1564) e i Vaaz de Andrada (1642) a riportarlo agli antichi fasti.
Nel XVIII secolo toccò ai Marchesi D’Amore, ultima casa regnante, l’onere di apportare dei miglioramenti più incisivi, in seguito ai quali fu alterata la fisionomia del Castello, edificando nuovi locali al primo piano e riadattando l’ingresso. Il castello ha la pianta di un trapezio irregolare e sorge sulla collina da cui domina il borgo. Nel suo interno, inoltre, è dotato di ampi saloni, quasi tutti ornati da pitture e decorazioni di diverse epoche ed al suo interno si trovano ancora oggi le scuderie, il frantoio e una cisterna. Molti storici sostengono che al suo interno esisteva una stanza adibita a carcere e una cappella.
Una leggenda narra che nel castello esisteva un cunicolo segreto che in caso di pericolo consentiva si regnanti di fuggire ritrovandosi fuori dalle mura del feudo.
Tra l’estremità sud-orientale del Castello di Ugento e la parete settentrionale del Palazzo del Seminario si apriva la cosiddetta “Porta di Paradiso”, il principale ingresso all’abitato medievale. Lungo il lato orientale della cinta muraria gli accessi erano tre: oltre a “Porta di Paradiso” , “Porta Piccola” sul lato orientale e “ Porta di S. Nicola” sul lato occidentale. Poiché il Castello è di proprietà privata oggi è possibile visitare solo una sua parte grazie alla stipula di una convenzione tra l’attuale Amministrazione Comunale ed i proprietari Fasanella -D’Amore.
LA CATTEDRALE
La Cattedrale di Ugento dedicata a Maria SS Assunta in Cielo, è stata ricostruita su quella antica andata distrutta nell’incursione Saracena del 1537. La costruzione dell’attuale cattedrale ebbe inizio nel 1718 grazie al lascito ereditario di mons. Antonio Carafa (1663 -74), napoletano della Congregazione dei Teatini, e fu completata solo nel 1743. Il sito scelto per la sua erezione fu alle spalle della precedente cattedrale, intitolata a S. Vincenzo.
Il vescovo Arcangelo Maria Ciccarelli (1736 – 1747), di Altamura (Ba), già arcivescovo di Lanciano (Ch), consacrò la nuova cattedrale il 30 giugno del 1743, dedicandola alla Madonna Assunta e a S. Vincenzo levita e martire. A futura memoria l’arma del vescovo fu riprodotta in bassorilievo al di sotto della finestra circolare della facciata disadorna. Ammodernamenti alla cattedrale furono apportati sotto l’episcopato del patrizio leccese mons. Giovanni Donato Durante (1768 – 1781) che sulla controfacciata fece apporre la grande lapide, con lo stemma di mons. Carafa, in ricordo del vescovo che ne aveva promosso la costruzione. Nell’iscrizione però il lapicida per errore datò la consacrazione della chiesa al 1745 anziché al 1743.
In memoria di mons. Durante, alla sua morte, la sorella Margherita con lo zio materno, conte Saverio Guidotti, gli eressero un monumento sepolcrale col suo ritratto, addossato alla parete sulla sinistra dell’ingresso. L’epitaffio incisovi esalta la parsimonia che il vescovo leccese ebbe verso se stesso e la prodigalità che usò invece per la decorazione del tempio. A sua volta il vescovo brindisino mons. Giuseppe Monticelli (1783 – 1791) commissionò il pulpito ligneo che andò a formare un unico corpo con l’organo donato da mons. Ciccarelli.
Mons. Francesco Bruni (1837 – 1863) di Bisceglie (Ba) fece innalzare nel 1843 la torre campanaria; nel 1855 fece realizzare il pronao in stile neoclassico e sulla sommità della facciata della chiesa fece riprodurre il proprio stemma. Nel 1902 infine, mons. Luigi Pugliese (1896 – 1923), di Cerignola (Fg), fece sostituire l’antico pavimento e posizionare l’attuale in marmo, apponendo una lapide col suo stemma. Di rilievo sono le modificazioni compiute da mons. Giuseppe Ruotolo (1937 – 1968), di Andria (Ba), nel presbiterio e nel cappellone del Sacramento, negli anni 1940 -1943. Nel 1976 il barese mons. Michele Mincuzzi fece riorganizzare l’area presbiteriale per la concelebrazione eucaristica, nel clima del rinnovamento avviato dalla riforma liturgica ispirata dal Concilio Vaticano II. I restauri delle tele e dell’altare maggiore negli anni ’90 del secolo scorso, assieme a quelli recenti degli altari laterali, nonché delle strutture lignee del coro e dell’organo, hanno restituito la varietà dei colori che caratterizzavano la chiesa madre della diocesi ugentina.
CRIPTA DEL CROCIFISSO
La cripta si trova a circa un chilometro dal centro di Ugento sulla strada che porta a Melissano. È scavata nella roccia tufacea, l ‘ingresso è posto sul lato nord accessibile tramite una rampa di scale. La chiesa ha forma esagonale irregolare con un soffitto piano.
Le origini della cripta sono quasi certamente basiliane, ma è probabile che essa sia stata scavata anteriormente da popolazioni rurali, insediatesi nei dintorni, che si appoggiarono al vicino villaggio di origine tardo-romana. In corrispondenza dell’ altare, all’interno di una cornice rossa, si trova la scena della Crocifissione , dalla quale la cripta prende il nome. Al centro dell’affresco vi è Cristo in croce e ai due lati i ladroni; in basso a destra la Madonna e sulla sinistra San Giovanni. Tre piccoli angeli raccolgono il sangue dalle ferite delle mani e del costato.
L’affresco è cronologicamente successivo agli altri presenti nella cripta ed è sicuramente di produzione locale. In fondo alla cripta troneggia un Cristo pantogratore a mezzo busto, racchiuso all’interno di una cornice rossa poco visibile. Il viso è allungato, gli occhi grandi e a mandorla , il naso lungo e la bocca piccola. La mano destra è in segno di benedizione con rito greco. Sulla parete di fronte all’ingresso è situata una Madonna che sorregge delicatamente il Bambino, il quale, a sua volta, l’abbraccia.
La volta della cripta è completamente affrescata da disegni di animali fantastici, scudi crociati e stelle.
Fonti : -Cattedrale di Ugento
(https://www.cattedraleugento.it/la-cattedrale/)
– Promo Tour Salento ( Terza Edizione) di Biagio Santantonio
– Promo Tour Ugento & Marine ( Quarta Edizione) di Biagio Santantonio
– Promo Tour Salento ( Prima Edizione) di Biagio Santantonio